mercoledì 14 agosto 2013

Distorsioni mentali della postcontemporaneità: Front line assembly

Un orologio per scandire i freddi ritmi delle metropoli post-moderne. Il battito che simboleggia l’universo cyberpunk alle soglie del nuovo millennio e della fine del mondo, un millennio che, però, non fa paura ma viene analizzato freddamente, come quello che sarà, come il mondo in cui l’individuo vivrà. La macchina non è oppressione ma il catalizzatore di nuovi, artificiali stati mentali. E questi sono generati e sostenuti all’interno del ciclo dell’assemblaggio della linea frontale. La mente e la vita si fanno matrice di esperienze sensoriali e di luoghi che divengono non-luoghi della post-contemporaneità, nei quali il bit diventa la cellula che dà origine alla vita, o a quello che viene successivamente in ambito evolutivo. I Front line assembly sono questo. La creatura nasce nella mente di Wilhelm Schroeder a.k.a. Bill Leeb e di Michael Balch, canadesi, il primo dei quali ha rappresentato l’ala più melodica e visionaria della creatura Skinny Puppy nel periodo che và tra la loro nascita e lo sviluppo del loro secondo disco in studio, Mind: The perpetual intercourse.

Nel 1986 avviene la separazione e il primo, insieme al secondo, danno origine alla loro personale creatura rilasciando due importanti demo, prima Nerve war e, poco dopo, Total terror. Inizialmente il suono dei due è ancora lungi dall’essere definito e molto risente del songwriting e dei suoni del gruppo fratello, ma questo dura poco. Già alcuni dei primi brani sembrano prendere in prestito dall’EBM europea il gusto per la costruzione matematica dei livelli sonori e per la schematizzazione di quello che i Puppy, al contrario, cercano sempre più di demolire e decostruire. Il primo full length, The initial command, è un lavoro prettamente elettronico in cui il primo scopo viene perfettamente portato a compimento: i brani che lo compongono sono delle lunghe suite elettronico-ritmiche dove, solo a tratti, si affaccia una gelida ritmica in 4/4 che non possiede alcuna umanità. L’esposizione del mondo dal punto di vista della macchina non può avvenire se non facendo parlare la stessa con il suo linguaggio, e questo comporta la decostruzione del corpo umano quale veicolo del messaggio e l’uso di una pesante effettistica in sede vocale per denaturalizzare il più possibile l’intervento umano.


Il lavoro successivo, State of mind, inizia a compiere un viaggio che porta i due verso una direzione velatamente più ballabile, meno ambient e più marziale, marzialità scandita unicamente dal passo delle macchine e che non trova grandi progenitori, se non, lontanamente, in certi Cabaret voltaire che però, al confronto, rappresentano la quintessenza dell’umanità. Questa disumanizzazione viene però azionata dall’uomo, ed egli può sbagliare. A dimostrazione di questo fatto, conseguentemente la macchina è soggetta all’errore di calcolo e talvolta può sembrare che in alcuni brani del lavoro il beat vada fuori tempo rispetto alla ritmica dei synth, ed effettivamente è così. A prescindere dall’impossibilità di comprendere la cosciente volontà o meno di rappresentare la fallacia della macchina, questa è una possibile interpretazione degli stati mentali da essa generati. La generazione cyberpunk trova in questo mondo la sua valvola di sfogo, la sua via d’uscita, perchè la deumanizzazione è una via di fuga da una realtà che fa sempre più paura, sempre più rovinata da una umanità che lascia il posto alla sua controparte artificiale.

Questa nuova dimensione subisce un ulteriore spostamento verso forme dance oriented che giocano con l’EBM storica riprogrammandola attraverso nuove forme di ricostruzione. Se infatti esso pone alla base la volontà, tramite realtà come i Front 242, di rendere la fisicità della materia rock all’interno della dimensione elettronica, i due canadesi cercano la via opposta e contraria e lo fanno con la pubblicazione di due e.p. temporalmente molto vicini come Corrosion e Disorder. Quello che accade in questa sede porta la generazione cyberpunk all’interno della dimensione del ballo sfrenato costruito tramite la programmazione di ritmiche che riescono sempre più a fondere l’iniziale apocalissi con le forme imposte dalla disco music, ovvero l’utilizzo di controtempi e ripartenze che ne garantiscono una seppur minima fisicità, e nel frattempo anche la voce di Bill Leeb comincia a farsi sentire, sempre più lamentosa in un urlo che non ha in sè una connotazione rabbiosa quanto accondiscendente. E’ la sua visione del Nevermind cobainiano ed è il messaggio che la gioventù cyberpunk assorbe e fa proprio di questa subcultura.

Questi primi lavori, seminali per lo sviluppo di un nuovo genere fortemente legato ad una nuova estetica, affondano pienamente le loro radici nella storia delle labels undeground di quegli anni tra le quali la loro label europea, la Third mind records dell’inglese Gary Levermore, la quale chiama direttamente in causa il pensiero burroughsiano e la sua teoria della terza mente elaborata insieme a Bryon Gysin, la quale, in una forma riassunta, pone il cut-up duchampiano come formula (di ispirazione debordiana) per una nuova conoscenza, per la creazione di nuovo significato atto ad interrompere e a minare dall’interno gli ingranaggi delle macchine di controllo che, come in Matrix (a sua volta di ispirazione burroughsiana), controllano il mondo in cui viviamo, identificato con la terminologia di cultura egemonica. L’ennesimo punto d’arrivo, nonchè uno dei principali, del percorso dei FLA viene identificato con la release di Gashed senses and crossfire dell’89 e con il determinante cambio di formazione che vede l’entrata di Rhys Fulber al posto di Balch. Questo cambiamento porta a totale compimento lo switch verso una forma ancor più ballabile e legata alle nascenti tendenze electro industriali di quegli anni e, allo stesso tempo, ai mostri sacri del genere della vecchia generazione di industrialists.

Questo comporta però anche un fondamentale allontanamento dalla visionarietà e dalla musica da colonna sonora legata a pellicole come Blade runner verso dimensioni ancor più debitrici dell’EBM, un genere molto più fisico dei deserti post-industriali governati dalle macchine. Se in questo lavoro lo spirito positivo nei confronti dell’alterità artificiale mostra segni di passaggio dallo zelo e dall’entusiasmo verso un senso di rassegnazione generale ([...]the damage is done[...]), il successivo Caustic grip lancia urla di protesta e incita alla resistenza nei confronti di un meccanismo di deumanizzazione che mostra la propria incapacità di controllo da parte di un individuo che si vede sempre più messo in disparte e denigrato al ruolo di osservatore passivo di una realtà in rapidissima trasformazione. Dal punto di vista sonoro questa è la massima espressione, ancora posizionata nel mezzo tra la forma canzone e la sperimentazione di idee legate al cut-up di matrice duchampiana, delle possibilità che i canadesi possono offrire all’ascoltatore, condensando i dieci brani in una dimensione temporale ridotta che, anche grazie a questo e alla sua perfezione formale, dà la possibilità agli aspiranti musicisti di quel momento di cimentarsi negli episodi più rocamboleschi e sperimentali, facendo particolare riferimento alle esperienze degli artisti statunitensi e canadesi della nuova generazione che vedono in lavori come questo e come Too dark park le loro bibbie personali.


Dopo l’anno 1990, fondamentale per avere posto molteplici terreni di sviluppo e di sperimentazione nella musica post industriale, i FLA si trovano di fronte ad un nuovo bivio della nuova carriera e scelgono di dilatare i ritmi dei loro brani dando origine a delle vere e proprie forme canzoni che musicalmente lanciano le basi per i futuri sviluppi del dark electro e, successivamente, di forme più melodiche come il future pop legandosi sempre più ad una influenza musicale di matrice synth pop senza per questo risultare debitori di qualche colosso del genere. Dal punto di vista tematico il discorso incentrato sul ruolo svolto dall’individuo all’interno della battaglia con le macchine assume toni sempre più apocalittici e wagneriani i quali culminano con il sampling di Terminator, uno dei capisaldi cinematografici di quegli anni che meglio riesce ad esprimere il rapporto di guerra eterna e, allo stesso tempo, di approvazione, nei conronti dell’azione delle macchine e del loro ingresso sempre più massiccio nelle nostre vite. Musicalmente la formula viene completata dall’influenza e dall’effetto calamita dimostrato dal duo nei confronti di tutti i generi che allora stanno facendo capolino nell’underground, primo tra tutti l’hip hop. La summa del loro nuovo modo di intendere la musica post industriale porta il nome emblematico per gli sviluppi del genere di Tactical neural implant, che è anche il loro disco più venduto e probabilmente il più conosciuto.

Questa continua sperimentazione nei confronti dei generi underground emergenti, unita alla crisi del sistema delle indie labels industriali, da un lato porta all’acquisizione da parte dei grandi colossi delle band più promettenti, tra le quali quella di cui stiamo parlando, e dall’altra influenza ancor più la musica che da essi viene prodotta. I FLA vengono acquistati dalla Roadrunner records, colosso statunitense della musica metal di successo e allo stesso tempo dalla nascente Off beat tedesca che ne curano rispettivamente la distribuzione statunitense e quella europea. Se la seconda diventa, insieme alla Zoth ommog di Andreas Tomalla dei Bigod 20, il principale punto di riferimento per l’EBM e per la musica electro industrial di quegli anni, il duo si trova a produrre lavori che da un lato devono conciliare il gusto per il nascente industrial metal e dall’altro devono rappresentare i capisaldi dell’electro industrial statunitense in un periodo in cui gli Skinny Puppy sono vicini al loro punto di rottura. Il primo di questi è del 1994 ed è Millennium, rappresentante il tentativo, da parte della Roadrunner, di creare un hype attorno al genere e di guadagnare molti soldi, cosa che non avviene perchè, nonostante i campionamenti famosi (Michael Douglas) e il genere prevalentemente orientato verso il metal (nel frattempo Fulber si era ampiamente cimentato con la produzione e i remix di un gruppo fortemente metal come i Fear factory), l’industrial è un genere orientato verso l’underground e i vocals effettati e le telluriche ritmiche electronica non rendono certo semplice il compito. Dopo l’abbandono dell’interesse da parte della major, come avviene l’anno seguente da parte della American recordings nei confronti degli Skinny Puppy, i FLA tornano con Hard wired, un disco che riprende parzialmente gli esperimenti del lavoro precedente ma che li reimposta in una salsa molto più vicina ai lavori dei cugini della label tedesca Off beat, riassestando il tiro grazie a brani intelligenti, dal songwriting interessante e catchy. L’uscita di questo disco culmina con l’abbandono da parte di Rhys Fulber (che nel frattempo aveva realizzato insieme a Leeb e agli Skinny Puppy il disco Tenebrae vision come Cyberaktif, uno dei lavori più importanti della metà degli anni ’90 nonchè summa dell’electro industrial di stampo Wax trax!).


Dopo la pubblicazione del corrispettivo Live wired da parte della nascente superpotenza post industriale statunitense Metropolis records e in contemporanea dalla Off beat, il nuovo arrivato Chris Peterson contribuisce in maniera abbastanza significativa sul futuro sviluppo della band, che si apre sempre più verso la ricerca della sperimentazione electronica degli anni seguenti, a cavallo tra la fine degli anni ’90 e la metà dei 2000. Il genere prescelto nella maggior parte delle occasioni è il blasonato drum ‘n bass il cui uso dimostra ancora una volta il cambio mentale e stilistico di Leeb e il riavvicinamento verso il meno fisico universo elettronico a danno dei contatti del gruppo con la musica rock, per cavalcare le derive electro industrial di quegli anni, sempre più distanti dall’estetica del solido EBM all’europea. Così lavori come l’avveniristico FLAvour of the weak e i successivi ImplodeEpitaph, Civilization e Artificial soldier si emancipano in maniera sempre maggiore dalla forma post industriale contribuendo al mutamento verso il big beat, mantenendo comunque molto alto il livello qualitativo, seppure non siano rari i giudizi che li danno per scontati e troppo autoreferenziali. Il difetto di alcuni di questi lavori, seppure in alcuni casi il ritorno di Fulber riesca a dare una nuova scossa positiva, se lo si vuole trovare, sta in una cristallizzazione delle forme stilistiche da parte di un act che fa della continua sperimentazione il suo vessillo. Tuttavia il mutamento c’è ed è comprovabile: dal primo di questi lavori la componente elettronica abbandona sempre più la totalizzazione del sound facendo riemergere un lato umano e non troppo in linea con le scelte musicali dei tempi.
Nel frattempo Leeb e soci si concentrano maggiormente su altri lidi, in particolar modo sui ricchissimi side projects che a volte producono risultati più interessanti degli originali, si pensi anche soltanto all’influenza dimostrata dai lavori targati Noise unitDelerium.

Questa è la risposta dei canadesi alla crisi della musica electro industrial sul finire degli anni ’90 che presta la sua anima all’elettronica pura, fenomeno a cui act dello stesso, alto, livello sono sfuggiti per via di break up vari ed eventuali. E’ bene notare che in questi anni abbiano sempre resistito con grande tenacia e con lavori ben al di sopra della media. L’attesissimo disco della ripresa del genere viene atteso per il 2010 ed è Improvised electronic machine, che viene presentato come la nuova summa del gruppo, posto idealmente a metà tra le spinte elettroniche (ancora una volta si sente la d ‘n b) e la fisicità del suono rock, seppur molto lontano dalle antiche forme EBM. I tempi della Off beat sono finiti e quelli della Metropolis rappresentano i nuovi canoni ai quali i FLA rispondono al meglio delle loro capacità trovando storiche collaborazioni con alcuni mostri dell’ex scena industrial metal come un Al Jourgensen redivivo la cui influenza non si limita ad un brano in particolare ma che pervade invece tutto il disco, così come molti anni prima fa con Rabies dei Puppy. E’ probabile che se i secondi avessero realizzato quel disco nel 2010, esso avrebbe suonato in maniera simile, ma i percorsi erano ormai troppo differenti.


La svolta più recente arriva con la firma per la soundtrack di un videogioco indipendente rilasciato nel 2012, Airmech, che ancora una volta sconvolge i fan, soprattutto quelli della vecchia guardia, qualora si possa parlare di queste pensando al lavoro orientato alla continua trasformazione svolto da parte dei canadesi. Un disco puramente strumentale che riproietta la band alla radice del suono elettronico, enfatizzando in questa occasione la recente novità del settore. I FLA si pongono come pionieri del nuovo mix-up trasformando nuovamente il genere che loro stessi contribuiscono ampiamente a creare con l’ultimo lavoro in studio, Echogenetic, che si pone nella scia dei lavori degli ultimi anni ma che viene già considerato da molti come una delle loro migliori realizzazioni di sempre, considerando anche il fatto che la band non perde realmente colpi fin dal 1986, il loro anno di esordio. Se la nuova frontiera della musica elettronica è rappresentata dall’incontro della musica con la dubstep, allora i FLA sono grandi esempi e realizzatori di qualcosa che sta già mietendo le prime vittime. Ancora una volta Leeb e i suoi riescono a rendere al meglio la sperimentazione nel campo elettronico attraverso il loro occhio, certamente mutato in quasi trent’anni di onorata carriera ma che ha ancora molto degli esordi e che convince ancora tanto, musicalmente così come idealmente, perchè le idee legate alle origini del movimento cyberpunk sono sempre quelle. Killing grounds ha tantissimo di The blade e così via. E sembra che si continuerà ancora a lungo.

giovedì 20 dicembre 2012

Smashing Pumpkins – Mellon Collie And The Infinite Sadness 1995


Passato lo sconquasso dovuto alla morte di Cobain, e alla fine formale del grunge, i gruppi spinti su quel carrozzone creato dai media, iniziano una nuova vita, slegandosi dalle sonorità degli esordi, iniziando a sperimentare e dando vita, probabilmente, al momento più creativo del periodo tutto. La storia è sempre la stessa, come per il punk, una volta passata la smania e la foga giovanile i vecchi rappresentati del genere abbassano le chitarre, raffinano la scrittura, gli arrangiamenti e la produzione, vanno oltre insomma. L'esempio più lampante e definitivo del passaggio dal grunge di marca Led Zeppelin/Black Sabbath mixati hardcore, a quello successivo, crocevia di stili e riferimenti, è di certo il terzo disco degli Smashing Pumpkins. Inseriti completamente a caso nel filone grunge (diversa la provenienza e lo stile) per pura convenienza commerciale, il gruppo di Billy Corgan, dopo un primo disco grezzo e scuro, arriva al successo planetario con il secondo, bellissimo, Siamese Dream che con le sue melodie punk e le meravigliose ballate quasi smithsiane, sfiorerà vendite pari a 15 milioni di copie. Dal 1993, anno di uscita del secondo album, all'inizio della produzione di Mellon Collie, le cose sono però molto cambiate, sia fuori dai confini del gruppo sia nelle dinamiche interne. Corgan, da sempre padre e padrone, porta agli eccessi il suo dispotismo, relegando al ruolo di veri e propri comprimari i suoi compagni. Le chiavi di lettura del percorso creativo di Corgan durante le fasi di registrazione del disco saranno due; magniloquenza ed esagerazione. Mellon Collie and The Infinite Sadness è un disco esagerato, esagerato nella bellezza, nella produzione, nella qualità di scrittura, nella sensazione di genialità assoluta del suo autore. Mellon Collie è, e sarà sempre, il capolavoro assoluto di Billy Corgan e anche il suo epitaffio creativo.

La recente ristampa  di MCATIS
Dopo una travagliata e lunghissima fase produttiva (leggenda vuole che, insoddisfatto della tecnica dei compagni, incapaci di mettere in pratica le sue esplosive idee, Corgan abbia suonato tutto il disco da solo) gli Smashing Pumpkins danno il saluto all'epoca Nirvaniana pubblicando un doppio cd e quadruplo lp, 28 canzoni intrise di dolore e debolezza, raffinate melodie e urticanti chitarre. Già di per se, all'epoca, l'idea di un doppio era alquanto bizzarra, iniziato l'ascolto del disco, poi, la totale astrazione da quanto ascoltato sino a quel momento, sia nella produzione degli SM sia nella musica circolante negli anni '90, era completa e straniante. Mellon collie è un concept (avete detto progressive?) sulla giornata di un adolescente, dalla mattina all'alba fino al tramonto e alla notte stellata. Il disco parte con la titletrack uno strumentale per solo Piano, archi e mellotron, totalmente spiazzante per chi si aspettava delle chitarre pompate, ma il pezzo di apertura non è un vezzo è il vero emblema dell'album, è la chiave che apre la porta. "Tonight, Tonight" è, se vogliamo, ancora più sorprendente, una ballata che, negli anni '90, per bellezza, epicità ed intensità è seconda solo a "Nightswimming" dei R.E.M. Un capolavoro fatto di chitarre e archi che si rincorrono, dove la batteria di Chamberlin scandisce i tempi del crescendo in modo perfetto, fino al finale dove gli archi sembrano quasi urlare di piacere, per sopirsi, infine, in un dolce arpeggio di chitarra. Dov'è il grunge, Billy? "Jellybelly" è una cavalcata elettrica con delle chitarre potenti ed estrogenate che si rimettono alla melodia. "Zero"è il primo pezzo davvero pesante, con delle chitarre a sfiorare il metal e una melodia amara e distruttiva, i testi di Corgan iniziano a colare fiele. E' l'inizio di un viaggio dentro la sua condizione e il suo pensiero della condizione umana, non sarà piacevole. Dopo l'hard rock di "Here is no Why" ecco, finalmente, l'unico pezzo grunge dell'intero disco; “Bullet with Butterfly Wings” il primo singolo estratto è una cavalcata hard nel perfetto stile corus verse corus, una canzone quasi nirvaniana nel disco che al grunge da l'addio definitivo.



To Forgive” è una ballata dimessa e pessimista che nemmeno nel ritornello arricchito da un organo trova pace. “An Ode to No One” è un altro hard rock robusto che dopo una coda quasi psichedelica lascia il posto ad uno dei capolavori del primo dei 2 cd. “Love” è una colata lavica di amarezza e nichilismo adolescenziale con l'amore che diviene strumento di tortura, mentre una chitarra saturata e piena di delay amplifica i sensi dell'ascoltatore. “Cupid de Locke” è un'altra ballata raffinata dolce, questa volta l'amore è una consolazione, un sentimento senza ostacoli. "Galapagos", una rivisitazione di “Disarm”, il singolo di maggior successo del disco precedente, è una ballata epica in pieno stile “barocco b0lly”, decisamente un capolavoro. “E salvami da me stesso e tutto ciò in cui credo, non mi opporrò al dolore, non mi opporrò al cambiamento. E se ti dovessi deludere adesso, mi lasceresti anche tu?

Avere 19 anni, la prima morosa seria, e il cuore che scoppia di sentimenti; finalmente anche gli adolescenti anni '90 avevano il proprio Morrissey. Il primo disco si avvia alla conclusione con altri due pezzi da novanta, la dolce ed elettrica "Muzzle" e l'epica ed estenuante “Porcelina of the Vast Ocean”, il concetto di psicadelia di Billy Corgan.

Dawn to Dusk” si chiude con un contentino lasciato a al fido James IhaTake Me Down” è una fragile ballata acustica senza infamia e senza lode.


L'estenuante viaggio continua con “Twilight to Starlight” che inizia con un pezzo spaventoso per epica e chitarre che sfiorano l'incubo sonoro “Where Boys take to Friend” è la declinazione del pessimismo Pumpkiniano, pessimismo che la successiva “Bodies” riesce, addirittura, a superare “Love is Suicide”, chiaro e reciso, come dargli torto? “Thirty-Three” è un'altra ballata conciliante dove l'amore, questa volta, è qualcosa che sembra possa durare per sempre, schizofrenia portami via. “In the Arms of Sleep” è un'altra ballata, triste preludio al capolavoro del secondo disco di Mellon Collie.
1979” è una ballad elettrica, una cavalcata meravigliosa, un racconto di un'adolescenza dall'incedere pop, una canzone per la vita. “Tales from Scorched Earth” alza nuovamente i volumi in un'esplosione di chitarre industrial ad alta densità che ricorda quasi i Nine Inch Nails. “Thru the Eye of Ruby” è invece un rock sognante e psichedelico che ricorda, in alcune parti, i Pink Floyd dei tardi anni '80. Segue l'acustica e bellissima “Stumbeline” un piccolo capolavoro lasciato alla voce di Corgan e alla sua chitarra acustica. “X.Y.U.” Invece scalda le valvole degli ampli e si lascia andare in un hard rock che ricorda i Metallica, con Corgan che urla quasi come fosse Phil Anselmo. Dopo una coda pesante come un macigno l'atmosfera cambia completamente con “We Only Come out at Night”, un pezzo bellissimo e raffinato pur nel suo incedere barocco, con piano e clavicembalo che disegnano una filastrocca agrodolce. Magniloquenza, dicevamo. “Beautiful” è un pezzo pop davvero straniante completamente avulso non solo dal disco, ma dall'intera produzione dei Pumpkins; sembra quasi un pezzo dei Blur di 13, prima di 13, seppur strano è un esperimento riuscitissimo. “Lily (my one and only)”è l'ennesima ballata barocca guidata dal pianoforte, un omaggio, forse, al Mc Cartney di Honey pie: ennesimo capolavoro. Segue una lenta cavalcata psichedelica “By Starlight”. A chiudere il disco è “Farewell and Goodnight” dove tutti i Pumpkins si dividono la voce, il viaggio è finito.



Billy Corgan nel 1995 era all'apice della sua creatività, capace come è stato, di creare un microcosmo emozionale così perfetto e delicato. “Mellon Collie and the Infinite Sadness” è stato un disco generazionale nel senso più puro del termine, forse l'ultimo del genere. Chi ha avuto dai 14 ai 21 anni, e un animo gentile, tra il '90 e il '95 non può non essersi perso nei racconti emotivi di Corgan che proprio in questo disco raggiungono l'apice espressivo. Come già accennato, gli adolescenti nineties, senza una guida che li portasse per mano nei meandri dei propri sentimenti, abbandonati prematuramente dall'unico, e più sbagliato, degli eroi possibili, trovano finalmente un compagno con cui dividere le proprie paure. Il caso ha voluto che proprio in quegli anni iniziassero ad uscire i primi veri capolavori emocore, finalmente i sentimenti trovavano i propri cantori. Dicevamo della rilevanza generazionale del disco. Dopo l'effetto esplosivo dell'uscita di MCATIS stuoli di adolescenti si arruoleranno nelle fila dell'esercito Pumpkiniano, ma Corgan non riuscirà più, da li in avanti, a fare proseliti. Anzi, nessun adolescente degli anni '00 si innamorerà delle Zucche lasciandole all'oblio e rendendole feticcio per vecchi kids ormai trentenni.

Corgan, dopo aver raggiunto il proprio Zenit inizierà una fase involutiva impressionante, penso che mai si sia visto un tale contenitore di talento dissolversi così presto, dai fasti dei dischi dei '90 Billy divenne presto b0lly, zimbello dell'intera scena indie mondiale, capace di tonfi impressionati, come l'avventura con gli Zwan, e  “The Future Embrace”, il disco solista, vera pietra tombale del suo talento. “Mellon Collie and the indefinite sadness” non inventa nulla, non sposta nulla, non influenza nulla nel rock, ma ha un merito, enorme e granitico, un merito che è solo dei grandi dischi: emozionare e lasciare spiragli per il  futuro.
La nuova, bellissima, ristampa amplifica i meriti compositivi di Corgan ad un livello creativo a cui si fatica a credere. Rinfocolare passioni e amplificare  i ricordi, Mellon Collie rimane, dopo tanti anni, uno stroboscopio emozionale mirabolante.

We will never forget you B0lly.

domenica 21 ottobre 2012

Elliott Smith - XO - 06.08.1969 - 21.10.2003




La grandezza di Elliott Smith, delle sue canzoni così fragili e perfette la si può vedere scovando su youtube il video della sua apparizione alla serata di premiazione degli Oscar nel 1998 quando davanti alla platea e a milioni di telespettatori collegati da tutto il mondo, con uno smoking bianco troppo largo e la sua chitarra acustica, suona, timido e impacciato, uno dei più bei pezzi di cantautorato moderno; Miss Misery, pezzo per il quale Smith era stato candidato all'oscar, un pezzo troppo bello e troppo sbagliato per poter incidere su un'umanità così numerose e stolta. Ovviamente anche quella serata finirà con una sconfitta, Miss Misery verrà battuta dalla pomposa e petulante canzone di Celine Dion per il film “Titanic”.

La storia di Elliott Smith è raccontata dalle sue canzoni, dalle ballate terribilmente depresse degli esordi, fino alle perfette canzoni beatlesiane degli ultimi, sottovalutati, dischi. Un percorso artistico che ha trovato compimento nella fine del cantautore di Omaha, in quell'atto finale, brutale e disperato che rappresenta come null'altro il conflitto interiore di Smith. Un coltello che prima spacca lo sterno e poi trafigge il cuore che piano, piano smette di pulsare. Quanto dolore si deve provare per arrivare ad un tal gesto? Una morte autoindotta e dolorosa dolorosissima come la vita vissuta sino a quel punto, una vita troppo pesante, opprimente e devastante da non poter più essere sopportata.

Forse l'unicità di Elliott Smith sta proprio in quel mal di vivere che lo ha sempre tormentato, in tutti i suoi pezzi, anche quelli più pop e divertenti si percepisce un fondo di insoddisfazione, di sconfitta e rassegnazione. Non c'è nessuno né del presente, che nel passato che mi trasmetta un sentimento di malessere come Elliott, le sue canzoni sono un portale verso gli antri più reconditi della mente umana, strade che conducono ad abissi di disperazione che non vorresti mai percorrere, ma che tuo malgrado spesso e volentieri sei costretto a seguire. Le canzoni di Elliott Smith, che siano solo un dolente arpeggio di chitarra o un più raffinato arrangiamento orchestrale sono delle meravigliosi strapiombi sul dolore, penso che solo ascoltando Neil Young si possa percepire un tale sentimento di ineluttabilità, la sensazione di una tragedia imminente.

Dopo una prima parte di carriera prevalentemente acustica culminata nel più variegato either/or , capolavoro di Smith e uno dei dischi più belli non solo degli anni '90, ma del cantautorato americano tutto ( e se dico tutto dico pure Dylan e Cohen), l'ex cantante dei Heatmiser decide di dare più colore, vigore ed intensità alla propria musica e X/O è li a testimoniarlo, monumento alla melodia, un atto d'amore verso i Beatles e alla loro musica.

La crisalide che si trasforma in farfalla, bellissima, leggiadra e colorata. “Sweet Adeline” inizia con un arpeggio di chitarra sul quale Smith canta, poi, inizia un crescendo di strumentazioni, prima un synth e poi elettriche, pianoforte e batteria che arricchiscono il meraviglioso e ritmato ritornello, uno di quei ritornelli che ti si lega alle sinapsi per non lasciarle più.

Ancora chitarra e voce per la delicata “Tomorrow Tomorrow” un capolavoro vocale, dove i cori rendono il pezzo un delicato canto gregoriano pop.

Waltz#2 è uno degli apici dell'album, una triste ballata di pazzesca intensità, uno di quei pezzi di cui parlavamo prima, ineluttabilità, tragedia imminente. Uno squarcio di buio nella luce del giorno, un'eclissi di sole. Bellissima. L'atmosfera si fa meno atroce con “Baby Brittain” una divertente filastrocca, quasi una canzone per una bambina guidata da una chitarra beatlesiana e un piano honky tonk rallentato, questa volta la luce rimane accesa ed è intensissima.



Ancora un'acustica e poi un piano ad infuocare l'atmosfera in “Pitseleh”prima di una gemma da chitarra acustica, piano elettrico e percussioni come “Indipendence Day” , un attentato. La melodia raffinata di Smith si sposa con l'incredibile pasta e intensità della sua voce che nel crescendo finale mette letteralmente i brividi quanto è perfetta ed esiziale la sua idea di musica. Un pop depresso, ma anelante una felicità impossibile, come nella splendida “Bled White” dove il ritmo si alza e la batteria guida un moog stralunato, Elliott sembra quasi felice mentre canta, “perchè dovrò essere alta per trascinare verso il basso il tramonto e colorare questa città”.

Waltz#1 invece è una classica ballata Smithiana triste e dimessa lasciata al pianoforte e al suo falsetto. “Amity” è l'ennesimo capolavoro di pop elettrico, un primo esperimento verso l'elettricità del successivo “Figure 8”, memore dell'esperienza Heatmiser, ma maggiormente raffinato e dolente.

XO sembra un lento ottovolante, su e giù tra sentimenti altalenanti tristezza, ricerca di serenità, felicità. La perfezione estetica di Smith (di questo si tratta, di perfezione e rigore d'estetica pop) si manifesta ancora in magnifiche ballate per chitarra e orchestra come “Bottle up end Explode” e nell'elettrica “Question Mark” uno dei pezzi più “duri” di Smith, contrappuntato da un saxofono nella prima parte e una chitarra quasi funk si apre in un refrain killer, capolavoro.

Dopo una dolente “everibody cares, everibody understand” dal finale mozzafiato tra assoli di chitarra che sembrano flauti e un crescendo d'archi di cui George Martin sarebbe orgoglioso, il disco si chiude con un pezzo per solo voce e cori, dove Smith si trasforma in un mellotron umano. “I didn't understand” è un distillato di tristezza, come da abitudine Elliott Smith lascia l'ascoltatore con la canzone più triste dell'intero disco, come in precedenza ha fatto con “The biggest lie” (a conti fatti il capolavoro assoluto di Smith e l'apice del suo personale concetto di disperazione, io, per tanti motivi, non riesco più ad ascoltarla tanto è il dolore che emana e i ricordi che fa riaffiorare alla mente), “Say Yes” e in futuro farà con la gelida “Bye” e la postuma e chiarificatrice “...a distorted reality is now a necessity to be free”.

Il calvario interiore di Smith è il nostro calvario, un discesa ripida verso il fondo, molte volte noi riusciamo ad aggrapparci a qualcosa, io per esempio anche alle sue canzoni, lui invece non è riuscito, nonostante tutto l'amore che contenesse, a trovare nulla per cui valesse la pena continuare a soffrire. Nessuno prima, forse solo Drake, e nessuno dopo, o assieme (no, nemmeno Will Oldham, se ve lo state domandando) ha raccontato il dolore e la rassegnazione come l'ha raccontata Smith, senza dover per forza scrivere testi macchiati di sangue o devastazione interiore, lasciando che fosse la sua voce ad interpretare il suo animo.

Sono stato fortunato a viverlo in diretta a 18anni, Elliott Smith, lo so, una cura formidabile contro la durezza di un'età infame.

Gli devo un grazie, ma non i soliti grazie che si leggono sulle bacheche di facebook, un grazie vero.



venerdì 3 agosto 2012

The Van Pelt, i sultani del sentimento




Racchiudere in sè un sentimento, trasmetterlo al mondo esterno, far fiorire nuovi linguaggi, nuova materia e poi sparire. Questo è stato il percorso artistico dei Van Pelt, gruppo americano nato, vissuto e poi estintosi durante l'ultima grande annata musicale americana, gli anni '90. I Van Pelt, come tanti altri gruppi di cui abbiamo parlato anche qui, sono una sintesi, un perfetto equilibrio di esperienze e fonti che si mescolano e producono qualcosa di nuovo e vivo. L'esperienza musicale americana è in continuo divenire da sempre, nei sotterranei dei palazzi le generazioni di musicisti hanno continuato a elaborare concetti, a costruire strutture su cui appoggiare le future dinamiche musicali. Dal rock'n roll sporcato e trasformato in garage per mutare, dopo vari incesti, nel punk che, sposato con le reminiscenze sixteen si è a sua volta evoluto nell'indie rock anni '80, passato attraverso il tritacarne hardcore, divenuto post hardcore, sadcore e poi emo e post emo. Sembra non fermarsi mai il fluire continuo del medium musicale americano e, arrivati all'altezza del 1997, quando in Inghilterra un gruppetto di manigoldi decide di dare una svolta al vecchiume anglosassone ponendosi, di fatto, come i salvatori della musica tutta (non salveranno niente a parte i loro conti in banca e le aspettative dei giovani ragazzi che pretendono di essere alternativi ascoltando le convenzioni) i Van Pelt codificano la loro forma musicale, compattando in Sultans of Sentiment le intuizioni precedentemente elaborate nell'ottimo, ma più convenzionale, “Stealing from Our Favorite Thieves”.

Non ho mai nascosto il mio odio smisurato per il post rock, un atto di cattiveria, a mio avviso esiziale, nei confronti della musica che preferisco. L'hardcore rallentato e rarefatto degli Slint (l'inizio di tutto, l'inizio della fine) è musica assolutamente apprezzabile, così come lo sono le successive evoluzioni, a scanso degli eccessi tecnicistici di gente come i Tortoise, il post rock non è stato altro che una delle ramificazioni dell'indie rock statunitense e come tale va esattamente nella direzione giusta, solo che non cantano, ma perchè non cantano? Come si può amputare una parte così importante in una canzone, a cosa servono cavalcate chitarriste epiche se non arrivano ad un urlo e a delle parole che ci ricordino di essere vivi? Neil Young in “Cortez the killer” (la vostra più grande influenza) alla fine si mette a cantare, perchè voi non cantate? L'incomunicabilità, ecco cosa odio del post rock.


Scusate la digressione, ma serviva appunto per spiegare il mio amore incondizionato per “Sultans of Sentiment”, una perfetta fusione di post rock, indie, un pochino di furore post hardcore con un recitato che è una meravigliosa resa alla più piacevole forma canzone. A scanso di equivoci, non sto assolutamente affermando che i Van Pelt siano una semplice deriva post rock leggermente variata, i Van Pelt sono qualcosa di unico, che non c'era prima e che non è più stato ripetuto tante e complicate sono le loro peculiarità.



Dolenti arpeggi di chitarra si alternano a cavalcate elettriche sghembe e dissonanti per tutto il disco, delicate ballate con un fondo sempre amaro e appiccicose scorribande di pop deforme ad altezza Pavement, esperimenti sulla ritmica che quasi ricordano la new wave ("TheYoung Alchemists"). Atmosfere coinvolgenti, momenti di tensione che si stemperano in dolci ritornelli, i sultani del sentimento, su una cosa non ci si può sbagliare, i Van Pelt sono emo fino al midollo, un'emotività che si evidenzia dalla musica sempre nervosamente appesa ad un filo di razionalità ("Yamato") che nelle liriche piene di allusioni e derive adolescenziali, giungono al cuore al colmo delle emozioni ("Don't Make me Walk my own Log").



L'alternanza di ballate incredibili come “The Good, the Bad & the Blind” (esiziale crescendo di tristezza in musica, probabilmente il punto più alto del disco e di tutta la scena emo anni '90 e un passo sotto solo all'incommensurabile slowcore dei Codeine, pietra angolare e riferimento evidente per la band di Leo) e pezzi più canonicamente indiepop come “"We are the Heathens” (altro apici di sublime bellezza) e scariche di energia e elettricità ("My Bouts With Pouncing"), non consentono mai all'ascoltatore di annoiarsi immerso com'è in questo delirio di bellezza e perfezione. Il raggiungimento della vetta, il perfezionamento di una formula, già di per se perfetta come l'indie rock statunitense. trova il compimento in “Sultan of Sentiment” consentendo al leader del gruppo e compositore principale Chris Leo di assurgere al ruolo di icona generazionale, anche per la sua integerrima etica indipendente che anni prima gli aveva fatto rifiutare un contratto milionario con una major. Proprio per una tale etica Leo, dopo aver scritto un capolavoro definitivo e di tale portata, invece di vivere di rendita, pubblicando un'altra mezza dozzina di album uguali, decide di mettere fine all'esperienza Van Pelt dopo solo due dischi lasciando in eredità un'opera di valore assoluto, una delle più intense esperienze musicali mai concepite.

Sultans of Sentiment dopo tanti anni riesce ancora a trasmettere le stesse emozioni di quando lo si è ascoltato la prima volta tanto è immediato il trasporto che trasmette, il concentrato di amore purissimo per la vita, nei suoi lati più belli quanto per quelli più amari, che si trova nei suoi solchi.
Un monito, un monumento alla bellezza e all'amore, al sentimento ad imperitura memoria, un accessorio necessario per affrontare le amarezze che ci riserva l'aridità della vita ai giorni d'oggi. Piangere non è mai stata un cosa vergognosa o sbagliata, i Van Pelt lo sapevano e io l'ho imparato grazie a loro.






mercoledì 9 maggio 2012

Brass monkeys - The B.E.A.S.T.I.E. Boys

THREE MC'S AND ONE DJ

New York City. Fine degli anni '70, inizi degli anni '80. I Beastie Boys nascono nel contesto della Grande Mela precorrendo e perseguendo meglio di tutti gli altri il concetto di crossover che poi si svilupperà fortemente negli anni '90. Inizialmente c'è l'Hardcore Punk di matrice newyorchese e non solo. Michael "Mike D" Diamond, Adam "MCA" Yauch, John Berry e Kate Schellenbach sono i The Young Aborigenes, vengono fondati nel 1979 ma cominciano a fare realmente musica nell'81. Poi si aggiunge Adam "Ad-rock" Horovitz, musicista nei The Young And The Useless, e allora ecco il primo, storico e.p. Polly wog stew del 1982. Qui nascono già i primi classici. B.E.A.S.T.I.E. Boys apre i battenti ed è una dichiarazione d'intenti molto diretta e semplice. Egg raid on Mojo è una dedica ad un buttafuori, è in chiusura e rappresenta il degno punto della loro prima release. E' ancora oggi uno dei loro brani migliori del primo periodo. Presto succede qualcosa: i tempi stanno cambiando e i Beasties, coadiuvati dal loro dj nonchè deus ex machina della storica label Def Jam, Rick Rubin, virano verso lidi Hip Hop, cercando la sperimentazione dei linguaggi dell'HH con quelli del rock. Schellenbach non ci sta e prosegue il suo percorso, Berry viene rimpiazzato da Horovitz e nel frattempo è uscito Cooky Puss, lavoro di transizione che porta inevitabilmente a Licensed to ill nel 1986 dopo alcune releases.

 

THE NEW STYLE

La label è la Def Jam, ai piatti c'è Rubin, ai microfoni c'è il trio definitivo, Mike D, MCA e Ad-rock. Tutto è pronto per fare un po di sano crossover tra HH oldschool (ma quelli erano gli anni '80), rock'n roll e punk, e in tutto questo c'è posto per una collaborazione con i loro predecessori, i Run DMC, che nel frattempo avevano realizzato qualcosa di simile con la storica Walk this way, con gli Aerosmith. Quello che rende unici i Beasties però è il fatto che loro non sono dei rapper ma degli artisti che, tra le altre cose, rappano. E inoltre sono bianchi. Il loro crossover parla la lingua della multiculturalità che nasce dalle loro origini ebraiche. Quello che si sente è musica che sembra non prendersi estremamente sul serio ma che riveste un ruolo molto serio all'interno del panorama. E se Rhymin' and stealin introduce il discorso, subito gli segue The new style. "Il Nuovo Stile" è il crossover. E si prosegue così con un brano jingle come Girls e soprattutto con Fight for your right (To party), altro classico fondamentale della band, poi con No sleep 'til Brooklyn e con Brass monkey, andando a formare un trittico fondamentale per la comprensione del genere. Non che Slow and low in collaborazione con i Run DMC e Time to get ill siano da meno. L'impressione è sempre che loro non sbaglino mai e che tutti i brani siano destinati a diventare dei classici del genere. In tutto ciò non ha importanza fondamentale quale sia stato il processo concreto che li ha portati verso altri stili: le loro radici nell'Hardcore sono ancora ben salde, ma questo si mostrerà particolarmente qualche anno dopo.

 

B-BOY BOUILLABAISSE

Dopo l'enorme successo del disco precedente, due anni dopo il trio ci riprova e crea qualcosa di eccezionale e di completamente diverso rispetto al passato. La sensazione è quella di essere sempre più lontani dagli stilemi dell'HH classico e sempre più vicini alla Musica in quanto tale. Questo è dimostrato dalla scelta (per la prima volta) di servirsi di musicisti di ottima fama per creare cose più particolari. Il risultato è Paul's boutique del 1989, da molti considerato uno dei più importanti dischi della storia della musica. I Beasties cambiano completamente suoni e si spingono verso la sperimentazione delle nuove soluzioni, lasciando bruciare l'aereo di Licensed to ill scoprendo l'esperienza del lavoro in studio, e da qui nascono classici fondamentali come Shake your ramp, Shadrach, Hey ladies e altri per citare i più famosi, per quanto anche in questo caso ogni brano sia essenzialmente eccezionale, dal primo all'ultimo. La gamma dei suoni aumenta vertiginosamente e così anche le soluzioni stilistiche, nonostante i nostri continuino a rimarcare fortemente il loro approccio apparentemente divertentistico nei confronti del loro lavoro. Chiude una lunga suite, B-boy bouillabaisse, uno dei loro migliori episodi di sempre.

  

STAND TOGETHER

1992. Siamo entrati negli anni '90 e la musica è notevolmente cambiata. Nel frattempo è arrivato il grunge, si sta creando in maniera sempre più decisa un concetto commerciale di crossover e i Beasties si pongono ancora una volta come pionieri dimostrando la loro genialità in Check your head. Ancora una volta tutto cambia sempre in meglio e i nostri compiono uno step che li porta a riscoprire le loro radici Hardcore Punk e, allo stesso tempo, a sperimentare nuove sonorità anche attraverso strumentali affascinanti, grazie al lavoro svolto da Mark "MoneyMark" Nishita. Se Licensed to ill esplora l'HH old school giocando sull'implementazione dei codici rock e se Paul's boutique dà maggiore profondità al tutto, nel 1992 il trio realizza un lavoro basato sulla musica nei confronti della quale il rappato occupa un livello maggiormente di contorno, lo si evince già dai primi brani. Jimmy James recita "This is the first song of the new album". Il nuovo album non è solo un nuovo album ma indica una direzione differente. In questo brano le liriche sono relativamente importanti. Questo discorso segue anche per la successiva Funky boss che espone un suono molto più fisico, lontano dalla ritmica usuale nel genere. E Gratitude completa il discorso ripescando a piene mani dal rock classico per realizzare un brano epico, classico. Lighten up sperimenta per la prima volta verso stili di musica legati all'universo del tribale e in generale della musica strumentale d'atmosfera, elemento che d'ora in poi sarà sempre presente, sempre con grande classe. All'ottima e old school Finger lickin' good segue un altro dei grandi classici, So what'cha want, collaborazione con i Cypress Hill. Time for livin' resuscita le atmosfere Hardcore Punk degli esordi e le trasporta nel suono degli anni '90. E' un episodio che conoscerà molto seguito e che segna l'energia sempre forte. Something's got to give è una famosissima strumentale che chiude idealmente la prima parte del disco, mentre la seconda percorre ed esaspera il lato più sperimentale dei nostri. L'album è una pietra miliare.

 

SURE SHOT

Due anni dopo la prova precedente e dopo la pubblicazione di tre veri gioielli arriva il momento del vero successo commerciale per il trio che però mantiene alto il livello del songwriting e lo spirito sempre forte e vero come agli inizi. Ill communication non è solo il simbolo della consacrazione a livello mondiale ma è anche il loro periodo più prolifico e più ricco di rimandi al rock, al punk, alla musica strumentale, oltre ad enfatizzare un primario interesse verso tematiche spiritualiste. Questo è l'anno di MTV e dei video storici in cui i nostri vengono conosciuti anche in Italia attraverso hit singles, cavalli di battaglia come l'opener Sure shot, Root down, Sabotage e Get it together. Anche su queste prove si evince la grande versatilità di un trio di artisti che comunque sembra portare alle estreme conseguenze la propria idea di cosa voglia dire suonare crossover. La già citata Sure shot diventa subito un classico al quale segue l'Hardcore Punk di Tough guy, passando per la strumentale Bobo on the corner per poi sfociare in uno dei trittici più amati e più conosciuti: Root down / Sabotage / Get it together, questa in collaborazione con Q-tip degli A tribe called quest. I brani che seguono sono sempre di ottimo livello ma più particolari, dimostrando la volontà da parte dei Beasties di dedicare la seconda parte dei loro dischi agli esperimenti sonori, tradizione che inizia con il disco precedente e che accompagna anche il successivo Hello nasty. Come detto sopra i nostri riscoprono le loro radici HC e nello stesso anno pubblicano Some old bullshit, raccolta dei loro primi brani tra i quali anche quelli contenuti in Polly wog stew. Nel 1995 arriva anche l'Aglio e olio E.P., che propone brani nuovi di zecca, rilettura novantiana di un passato mai dimenticato, che diventa immediatamente un pezzo di culto. Dopo il grande successo i nostri decidono di allontanarsi per un po dai riflettori per dedicarsi a progetti solisti e per abbracciare la causa del Free Tibet, che li assorbirà da lì agli anni a venire.  The in sound from way out! è una raccolta di alcuni tra i loro maggiori esperimenti strumentali che guadagna un buon successo.

 

UNITE

Il 1998 è l'anno del come-back, dopo ben quattro anni dall'ultimo disco ufficiale in studio. Questo desta alcune preoccupazioni nei fan i quali temono una virata stilistica o una perdita di mood. Da un certo punto di vista infatti questo disco si presenta in modo molto diverso dai precedenti, è molto più riflessivo, molto più serio e impegnato, dal mood più oscuro ma che allo stesso tempo contiene una lunga serie di perle di valore inestimabile, il dj Michael "Mix Master Mike" Schwartz fa il resto. L'Hardcore Punk viene omesso per fare posto ad un maggior numero di brani strumentali sperimentali che viaggiano verso lidi di bossanova e verso l'HH sperimentale dei primi anni '90. Il successo commerciale continua ad essere grandissimo negli Stati Uniti ma diminuisce considerevolmente in Europa, anche se i singoli reggono molto bene. E' stato spesso definito come il disco simbolo della svolta elettronica e si sente, spiazzante ma senza dubbio un capolavoro. Dopo le prime parentesi old school come l'opener Super disco breakin' e The move arriva l'elettronica di Remote control. Ma i veri pezzi forti, motori del cambiamento all'interno del trio, sono Body movin', della quale esistono due versioni, una più old school e un'altra fortemente elettronica, e soprattutto Intergalactic, ancora oggi nelle vette delle classifiche, senza dimenticare Three MC'S and one Dj. La seconda parte del disco è la più sperimentale e la meno conosciuta ma non per questo meno fondamentale. La sensazione generale è che i Beasties si stiano allontanando sempre più dagli anni '80 e dai primi '90 per abbracciare una musica lenta e riflessiva, fortemente legata all'idea del culto, una musica ultraterrena.


 

THE FIVE BOROUGHS

Sfruttando la scia dell'ultimo lavoro in studio, i Beasties pubblicano il loro primo vero Greatest Hits che contribuisce a rilanciarli nel mercato mondiale. Si tratta essenzialmente di un doppio disco che parla le varie lingue degli anni '80 e dei '90 e che contiene un brano come Alive che suona malinconico, parla di tempi passati insieme e dell'avanzare degli anni ed è un momento emblematico perchè gli anni 2000 segnano un passaggio fondamentale dal crossover alla sua distruzione verso un Hip Hop che comincia ad attraversare una grande crisi. Ed è quello che accade anche ai nostri che per anni risultano inattivi, alla ricerca di nuove ispirazioni. Dopo il disco country di Mike D sotto lo pseudonimo di Country Mike passano ben quattro anni prima che To the 5 Boroughs venga pubblicato. Si tratta di un ritorno al passato, alla riscoperta delle radici del loro sound e delle loro origini, un lavoro dedicato alla magica Grande Mela. I five boroughs sono Manhattan, Brooklyn, il Queens, il Bronx e Staten Island. Già dall'opener si capisce che i Monkeys si ripresentano sotto le loro vesti più old school in quello che è un po una sorta di Ill Communication degli anni 2000. Certamente gli anni iniziano a farsi sentire e le loro soluzioni sanno di qualcosa di già adottato in passato, ma regalano comunque un'ottima prova. L'esperienza paga. Nel frattempo fioccano DVD celebrativi e lavori collaterali fino al 2007, l'anno di The mix up, album controverso e particolare frutto di quelle sperimentazioni verso la musica extra-HH portate avanti da Check your head in poi. Il disco si presenta come un In sound from way out! Part 2 e fa capire che i nostri non hanno intenzione di adagiarsi, si muovono bene con esperienza pluriventennale verso linguaggi molto diversi tra di loro. L'idea che traspare è che ormai i Beasties possano fare ciò che vogliano senza vincoli, non che prima fosse così diverso.

 

MAKE SOME NOISE

MCA, Ad-Rock e Mike D sono ormai dei pezzi di storia, cominciano a sentire il peso degli anni e organizzano concerti sempre più raramente soprattutto in Europa, gli anni 2000 sono quelli della grande crisi e, inoltre, i tempi d'oro sono finiti ma tutti i grandi artisti ancora riconoscono la loro grande influenza sulla loro musica e sull'evoluzione dello stile in generale, classificandoli come una realtà davvero unica. Si comincia a parlare di un disco dal titolo Hot sauce committee che non verrà mai realizzato in favore del suo "sequel", Hot sauce committee Part 2, del 2011. In quei cinque anni i dubbi sulla salute dei nostri si fanno sempre più forti e risultano fondati quando nel 2009 Adam Yauch a.k.a. MCA dichiara di avere un tumore. Nonostante ciò le cose procedono anche se molto a rilento e il disco fatica ad uscire, viene continuamente rimandato mentre i nostri decidono di non suonare più live per ovvie impossibilità. Tuttavia, nonostante questo clima di tensione, all'uscita il disco sa stare perfettamente al passo e presenta dei pezzi molto interessanti, un po appassiti rispetto al passato ma sempre molto degni del nome che portano. I Beasties "sono qui solo per fare un po di musica", il loro messaggio lo hanno espresso, sono stati fieri portatori della bandiera negli scorsi decenni, dal dopo Hello nasty hanno deciso di produrre ottimi dischi per soddisfare la loro volontà di suonare, senza intralci, senza scadenze. Solo come loro sanno fare. Oggi piangiamo la morte di uno dei tre Monkeys, senza il quale le cose non saranno più le stesse. Tuttavia, il nome dei Beastie Boys continua ad echeggiare, come quel pezzo di storia che nessuno può omettere.

1964-2012.




lunedì 9 gennaio 2012

Skinny Puppy (Retrospettiva)

1984. Il Cucciolo Affamato, lo Skinny Puppy, nasce nell’anno orwelliano nella periferia di Vancouver, British Columbia, Canada. In questi anni l’Europa inizia a dare i primi frutti di quella che i tedeschi D.A.F. (Deutsche Amerikanische Freundschaft) e i belgi Front 242 identificano con il termine Electronic body music, abbreviato in EBM. Se questa corrente è stata influenzata in particolar modo dai Kraftwerk e dal Kraut-rock dando origine alla classica ritmica marziale sulla quale si poggia una voce chiara e secca, il Canada si ciba del Synth-pop e del rumorismo che, mescolato ad una ritmica di derivazione europea ma rallentata, verrà identificato come Electro-industrial. Tuttavia il termine, che tende ad includere una lunga serie di artisti e di stili a seconda del paese di appartenenza, trova una forte volontà di sperimentazione proprio a Vancouver, in anni in cui il Synth-pop si tinge di tinte più noir, l’EBM inizia ad incupirsi e a rallentarsi, i vocalizzi si iniziano a distorcere sempre più verso lo spoken-word, il morale discende sempre più verso un abisso musicale, fisico e mentale. Al contrario di artisti come Suicide Commando e soprattutto The Klinik / Dive nei quali è possibile riconoscere una spinta sonora teutonica e una marzialità di base, il Canada vede la predominanza del Synth-pop e della sua degenerazione, della sua disgregazione, della sua industrializzazione, della sua perversa mutazione nei meandri dell’oscurità delle aree metropolitane delle grandi città, sempre più in basso fino al luogo in cui un giorno tre ragazzi, Kevin “Nivek Ogre” Ogilvie, Kevin “cEvin Key” Crompton e Wilhelm “Bill Leeb” Schroeder si conoscono ed iniziano a comporre brani. Il loro primo demo tape è il primo volume di Back & forth ed è del 1984. La prima novità della creatura Skinny Puppy è rappresentata dalla voce di Nivek Ogre, la quale trasforma il timbro marziale in recitazione quasi diabolica in un contrasto sempre crescente con la linea melodica impressa da Bill Leeb, nato in Austria ma cresciuto a Vancouver. Leeb ha studiato i primi lavori dei The Legendary Pink Dots e li ha rielaborati all’interno di un discorso meno sperimentale e più tendente al mondo del ballabile, per quanto con ciò si intenda unicamente il suo inserimento all’interno di una precisa struttura metrica. cEvin Key è tuttavia il deus ex machina, colui il quale crea le basi e per la prima volta inserisce dosi massicce di campionamenti all’interno di un genere in continua mutazione. Egli è un grande sperimentatore e in seguito diverrà uno dei maestri dell’IDM all’interno dei suoi progetti solisti, altro marchio di fabbrica di quello che verrà fatto dal Cucciolo Affamato. Subito dopo la pubblicazione del primo demo tape gli SP pubblicano il Remission E.P., contenente la prima versione di Smothered hope e un brano dal titolo Brap, una parola con la quale i canadesi definiranno le loro sperimentazioni all’interno del rumorismo, ben diverso da quella che veniva definito come musica noise. D’altronde, cEvin Key è definibile a ragione come un rumorista, un artista del campionamento, prima che un compositore di bass lines. Dopo aver firmato un contratto con la casa discografica Nettwerk e dopo aver inglobato all’interno della formazione un quarto membro, Dave “Rave” Ogilvie, i quattro pubblicano il loro primo disco, Bites. Il disco si apre con il primo vero brano Assimilate. “E’ la paura non chiara dell’uomo in movimento senza meta”.



La paura delle epidemie, della vivisezione, della religione, di tutto quello che c’è di negativo al mondo. Gli Skinny Puppy descrivono uno scenario post-atomico distopico in cui non c’è spazio per niente e per nessuno. E’ la paura del mondo post-industriale alle porte del 2000, è il biglietto di andata senza ritorno verso l’ottica del cyberspace, è un ultimo grido disperato verso un mondo in declino, in rovina. E se il Side A di Bites riporta la dicitura Attack, con The choke inizia il Side B, Decay. E i titoli parlano chiaro, da Dead line a Social deception, da Last call fino alla strumentale Film posta in chiusura. L’album avrà molte ristampe con aggiunte, tra le quali Bites + Remission. Nel 1986 Bill Leeb esce dalla band e fonda i Front Line Assembly, altro punto cardine della scena Electro-industrial canadese, proclamandosi il Messia del Cyberpunk e fondando il movimento musicale e nello stesso anno gli SP pubblicano il secondo disco, Mind: The perpetual intercourse, nel quale le parti di sintetizzatore sono state comunque composte da Leeb, a cui subentra in fase di registrazione il sostituto Dwayne Goettel, ex-Psyche, band canadese dedita ad un Synth-pop sperimentale. La grande novità del disco consiste nell’introduzione delle parti di chitarra elettrica, campionata e successivamente inserita. In questo momento nascono le basi per lo sviluppo dell’Industrial Metal. In particolar modo la canzone Dig it verrà citata da Trent Reznor come la sua principale ispirazione nel momento di creazione del disco d’esordio dei NIN Pretty hate machine. Questo lavoro non è il più conosciuto, tuttavia gode di una grandissima importanza perché prova che la band vuole sperimentare nuove direzioni e che ha i mezzi per farlo, soprattutto grazie alle doti registiche di Crompton. Goettel partecipa attivamente alla stesura del disco successivo e si sente. I ritmi si incupiscono, le strutture iniziano a limarsi e definirsi sempre più orientativamente verso il 4/4 in Cleanse fold and manipulate del 1987. La opening del disco, First aid è un inno disperato, una richiesta d’aiuto in un mondo che cade verso l’abisso “Quei fortunati che rischiano il destino per alleviare una loro paura interiore”.



La successiva Addiction, già presente nel disco precedente in versione raw, viene riadattata da Goettel e prende toni molto più cupi, è il loro primo inno di disperazione indotta dalla droga, in particolare dall’eroina, dalla quale Ogre e Goettel sono dipendenti. Seguono altri classici come Second tooth e Deep down trauma hounds, altro brano preso in prestito dal disco precedente e riadattato con suoni nuovi. La produzione del disco è volutamente oscura e vicina agli scenari descritti nei testi, il suono della disperazione fisica ma soprattutto mentale. Tuttavia esso è soltanto un disco di transizione che l’anno successivo porta a VIVIsectVI, il primo lavoro di una trilogia, quella composta dalle loro opere più famose. In questo disco Goettel esprime tutta la negatività sonora e la produzione si fa ancora più oscura e rumorosa. Il mood è devastante e le tematiche espresse sono quelle della condanna della guerra e delle armi batteriologiche, di Chernobyl così come della religione e del suo opposto, il numero del diavolo, e della vivisezione. Tra i brani principali si ricordano le urla disperate di Dogshit, Vx gas attack, Human disease (S.K.U.M.M.), Who’s laughing now, l’alone claustrofobico che permea Hospital waste e molte altre, impossibile citarle tutte. Il passo successivo è Rabies del 1989, il loro disco più punk. In quegli anni tutti i membri della band, in particolar modo Ogre e cEvin Key, sono coinvolti in una moltitudine di side projects, tra i quali si ricordano Cyberaktif (con Bill Leeb), The tear garden, etc…il 1989 è anche un anno di crisi, segnato dallo scontro tra le volontà da parte dei due suddetti membri di imprimere alla band stili diversi. Ogre vuole orientare la formula in misura sempre maggiore verso il rock e il punk, Key vorrebbe virare verso l’elettronica pura. In questo frangente vince il primo. Al Jourgensen, leader degli altrettanto seminali Ministry, decide di suonare delle parti di batteria fisiche per brani come Tin omen e Fascist jock itch, andando a modellare un disco che riprende alcune idee dai Ministry e altre dal passato, con l’introduzione massiccia delle chitarre elettriche e delle ritmiche punk. Il tutto suona molto più fisico e lontano dagli esordi. Tuttavia il loro disco più famoso arriva nel 1990 ed è Too dark park. Si tratta del risultato della disperazione accumulata negli anni, un disco molto critico nei confronti del maltrattamento degli animali e fortemente intriso della maledizione inflitta dalla droga, contribuendo alla creazione di un’opera in cui i dieci brani rappresentano un flusso di coscienza senza inizio né fine, una spirale senza fine verso la distruzione mentale. Apre Convulsion, un pezzo folle da un punto di vista compositivo, nel quale la disperazione prende il posto della rabbia, una dolorosa accettazione di un destino implacabile, è uno dei loro brani più oscuri. Segue un largo numero di classici, da Tormentor, cover dei Death valley ’69 a Spasmolytic, un altro cantico della dipendenza, fino a T.F.W.O., brano di chiara ispirazione Ministry vicino al loro disco Psalm 69. Chiude Reclamation, l’ennesimo urlo straziante. Tra il 1990 e il 1992 i dissapori continuano a crescere, allo stesso modo dell’abuso di droga sempre più esponenziale. Il gruppo minaccia spesso di sciogliersi ma nonostante tutto nel 1992 rilascia Last rights, un altro disco nel quale gli argomenti prevalenti sono la difesa degli animali e la dipendenza, espressa rispettivamente in due inni come Killing Game e l’opener Love in vein “Sogni dai quali non è possibile svegliarsi, strisciano in basso dentro i quieti vasi”. Questo disco sperimenta fortemente in direzione di una elettronica ancor più sperimentale e lontana dalle chitarre distorte e dai tempi del rock, è il primo disco di cEvin Key al termine del quale viene posto l’esperimento Download, chiamato in questo nome sulla base del suo side project, il quale stava inseguendo il percorso dell’IDM. Dopo tre anni di gestazione, di forte dipendenza, di lunghi litigi e soprattutto dopo la morte del tastierista Dwayne Goettel per overdose di eroina, gli Skinny Puppy pubblicano nel 1995 The process, disco postumo fortemente ispirato dagli incontri tra Ogre e le idee del deus ex machina della Industrial Music Genesis P-Orridge, teorico delle idee di Crowley. Ciò che ne viene fuori è il Processo “Luoghi come entità mentali – anime senza età – combattono per scopi individuali – verso risultati collettivi – uno stato di auto conoscenza senza colpa – il Processo sei tu – il Processo è tuo”.



Tra i brani principali è possibile ricordare l’Industrial-Electro-Metal di Death, la semi-ballad Candle, la prima e unica canzone d’amore del gruppo Cult, Curcible e l’elettronica di Blue serge. The Process segna il distacco della band dalla Nettwerk successivamente alla morte di Goettel e ai continui litigi tra Ogre e Key per approdare alla American Recordings, la quale, dopo la sua pubblicazione, rescinderà il contratto avendolo considerato un disco troppo difficile e dalle tematiche troppo irriverenti. Lo scioglimento degli SP segna un ulteriore ampliamento dei side projects, tra i quali si affermano Download per Key e oHgR per Ogre. Se il primo si concentra sull’IDM, il secondo esprime il lato cupo e melodico di Ogre, legato maggiormente ai primi lavori della band precedente ma utilizzando le clean vocals e arrangiamenti meno complessi. Nel frattempo continuano le numerosissime pubblicazioni di materiale live e inedito come la serie Back & forth e un altissimo numero di compilation e di remix album, tra le quali una raccolta dei samples utilizzati da Crompton negli anni. Il 2004 segna, dopo una serie di concerti inaugurali, il ritorno degli Skinny Puppy con una formazione rimaneggiata, con l’inserimento di Mark Walk e di Justin Bennett. Il sound è cambiato ancora e nel disco del ritorno, The greater wrong of the right pubblicato per SPV germany, l’influenza dell’Industrial Metal è particolarmente preponderante, sposata ad una elettronica altrettanto presente in dosi massicce. Nonostante tutto non riesce ad ottenere il successo dei dischi precedenti, i tempi di Goettel sono ormai andati. Nel 2007 vede la luce Mythmaker, un disco più sperimentale nel quale le chitarre sono quasi completamente assenti e che risente fortemente dell’approccio di Key. Nel 2011, dopo lunghe diatribe e due anni di attesa interrotti da falsi comunicati riguardanti l’uscita di un disco dal titolo In solvent see mai pubblicato, esce hanDover, che segna un parziale ritorno verso i tempi di The Process e di The greater wrong of the right, seppure in modo differente. E’ un altro disco firmato in massima parte da cEvin Key. Nel frattempo i side projects continuano a mietere dischi su dischi, regalando emozioni ai fan e ampliando ulteriormente una discografia già molto abbondante. La particolarità e l’unicità che rende grandi gli Skinny Puppy è legata da un lato all’idea musicale fondante differente rispetto ai gruppi canonici appartenenti al genere Electro-industrial, dall’altro all’invenzione sonora e alla particolarità dei ruoli dei membri della band, dal canto di Ogre al sampling di Key, passando per i lugubri e claustrofobici passaggi di Goettel, fino ai clichès utilizzati in alcuni dei loro lavori, mai spiegati. Uno di questi è l’utilizzo, a partire da The Process, di un sample rovesciato tratto da Revolution 9 dei The Beatles, elemento ancora oggi senza risposta. Gli Skinny Puppy si confermano come uno dei gruppi più influenti degli ultimi 25 anni nella scena elettronica e in quella della musica rock in generale.

Discografia essenziale:

  • Bites (1985)
  • Mind: The perpetual intercourse (1986)
  • Cleanse fold and manipulate (1987)
  • VIVIsectVI (1988)
  • Rabies (1989)
  • Too dark park (1990)
  • Ain't it dead yet? Live (1991)
  • Last rights (1992)
  • The process (1995)
  • The greater wrong of the right (2004)
  • Mythmaker (2007)
  • HanDover (2011)

lunedì 21 novembre 2011

Codeine – The White Birch (1994, Sub Pop)

Codeine – The White Birch

Tanto sottovalutati dall'ambiente "alternativo" istituzionalizzato dei primi anni '90 quanto influentissimi nel panorama underground, ai Codeine oggi si attribuisce la paternità del cosiddetto slo-core. Completamente in controtendenza rispetto a molte delle cose che giravano in quegli anni, come ad esempio il grunge o il post-core, ma perfettamente coerenti ad una scena che si stava consolidando lungo l'asse Louisville-Chicago, il trio ostentava una lentezza difficilmente riscontrabile altrove. Come se un processo di slow-(e)motion filtrasse il punk hard-core, dilatandone i tempi d'impatto ma lasciandone intatto il carattere d'urgenza.

Attivi proprio sulla scena di Chicago dall'inizio del decennio con una prima line-up, che prevedeva Stephen Immerwhar alla voce ed al basso, John Engle alla chitarra e Chris Brokaw alla batteria, i Codeine danno alle stampe nel 1990 lo splendido esordio "Frigid Stars", seguito tre anni dopo dall' ep "Barely Real". Non me ne vogliano i cultori dell' irrinunciabile "Frigid Stars", ma è con l'avvicendamento di Doug Scharin alla batteria (Rex, June of 44, HiM) che i Codeine consegnano alla storia quello che personalmente ritengo il loro testamento artistico: "The White Birch".

L'album, che si avvale in un paio di episodi della presenza di Dave Grubbs (Bastro, Gastr Del Sol), presenta un suono maturo, compatto ma al tempo stesso drammatico, di una ruvidità in grado di graffiare l'anima mentre le canzoni scorrono una dietro l'altra senza soluzione di continuità come se fossero parti separate ma omogenee ad un unico piano-sequenza sonico ed onirico, una narrazione che diventa catarsi attraverso un rapporto intimo e simbiotico che si viene progressivamente a creare tra band ed ascoltatore. Mentre una tensione in bilico tra la dolorosa consapevolezza della fragilità di sé e l'amara accettazione di un presente ineluttabile pervade l'intero album, nella sua prima parte a dominare è quasi un monocromatismo dai forti ed improvvisi contrasti dinamici; dall'iniziale Sea, quasi un manifesto di tutto "The White Birch", fino all'apice emotivo della bellissima Kitchen Light. Washed Up, caratterizzata dal basso distorto e seducente, segna un lieve cambio di rotta verso una maggiore disarticolazione tra le canzoni, mentre la collaborazione con Grubbs da i suoi frutti migliori con la strumentale matematica di Wird, già presente in una versione di solo pianoforte eseguita dallo stesso Grubbs in "Barely Real".

La vicenda artistica dei Codeine è stata al tempo stesso breve ma intensa; meritatamente ascritti al novero delle bands più importanti di tutti gli anni '90, la loro opera è ancora oggi capace di influenzare una mole di musicisti davvero considerevole, oltrechè continuare a produrre in noi quella chimica complessa che chiamiamo emozioni.

Aldo De Sanctis

Sea

a white ship sails on a black sea

takes my love from me

and it takes so long

but then I understand

I understand

put your hand in my good hand

promise not to leave this dry and barren land

and it takes so long

but then I understand

I understand


Kitchen Light

first a kiss, then a fall

some pale shade takes it all

tangled up in a knot

one foot free, one foot caught

light the stove with a match

I just wait, I just think

I'm so sad, I can't stand

I can't stand, I can't stand


Wird


 
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