lunedì 21 novembre 2011

Codeine – The White Birch (1994, Sub Pop)

Codeine – The White Birch

Tanto sottovalutati dall'ambiente "alternativo" istituzionalizzato dei primi anni '90 quanto influentissimi nel panorama underground, ai Codeine oggi si attribuisce la paternità del cosiddetto slo-core. Completamente in controtendenza rispetto a molte delle cose che giravano in quegli anni, come ad esempio il grunge o il post-core, ma perfettamente coerenti ad una scena che si stava consolidando lungo l'asse Louisville-Chicago, il trio ostentava una lentezza difficilmente riscontrabile altrove. Come se un processo di slow-(e)motion filtrasse il punk hard-core, dilatandone i tempi d'impatto ma lasciandone intatto il carattere d'urgenza.

Attivi proprio sulla scena di Chicago dall'inizio del decennio con una prima line-up, che prevedeva Stephen Immerwhar alla voce ed al basso, John Engle alla chitarra e Chris Brokaw alla batteria, i Codeine danno alle stampe nel 1990 lo splendido esordio "Frigid Stars", seguito tre anni dopo dall' ep "Barely Real". Non me ne vogliano i cultori dell' irrinunciabile "Frigid Stars", ma è con l'avvicendamento di Doug Scharin alla batteria (Rex, June of 44, HiM) che i Codeine consegnano alla storia quello che personalmente ritengo il loro testamento artistico: "The White Birch".

L'album, che si avvale in un paio di episodi della presenza di Dave Grubbs (Bastro, Gastr Del Sol), presenta un suono maturo, compatto ma al tempo stesso drammatico, di una ruvidità in grado di graffiare l'anima mentre le canzoni scorrono una dietro l'altra senza soluzione di continuità come se fossero parti separate ma omogenee ad un unico piano-sequenza sonico ed onirico, una narrazione che diventa catarsi attraverso un rapporto intimo e simbiotico che si viene progressivamente a creare tra band ed ascoltatore. Mentre una tensione in bilico tra la dolorosa consapevolezza della fragilità di sé e l'amara accettazione di un presente ineluttabile pervade l'intero album, nella sua prima parte a dominare è quasi un monocromatismo dai forti ed improvvisi contrasti dinamici; dall'iniziale Sea, quasi un manifesto di tutto "The White Birch", fino all'apice emotivo della bellissima Kitchen Light. Washed Up, caratterizzata dal basso distorto e seducente, segna un lieve cambio di rotta verso una maggiore disarticolazione tra le canzoni, mentre la collaborazione con Grubbs da i suoi frutti migliori con la strumentale matematica di Wird, già presente in una versione di solo pianoforte eseguita dallo stesso Grubbs in "Barely Real".

La vicenda artistica dei Codeine è stata al tempo stesso breve ma intensa; meritatamente ascritti al novero delle bands più importanti di tutti gli anni '90, la loro opera è ancora oggi capace di influenzare una mole di musicisti davvero considerevole, oltrechè continuare a produrre in noi quella chimica complessa che chiamiamo emozioni.

Aldo De Sanctis

Sea

a white ship sails on a black sea

takes my love from me

and it takes so long

but then I understand

I understand

put your hand in my good hand

promise not to leave this dry and barren land

and it takes so long

but then I understand

I understand


Kitchen Light

first a kiss, then a fall

some pale shade takes it all

tangled up in a knot

one foot free, one foot caught

light the stove with a match

I just wait, I just think

I'm so sad, I can't stand

I can't stand, I can't stand


Wird


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