domenica 21 ottobre 2012

Elliott Smith - XO - 06.08.1969 - 21.10.2003




La grandezza di Elliott Smith, delle sue canzoni così fragili e perfette la si può vedere scovando su youtube il video della sua apparizione alla serata di premiazione degli Oscar nel 1998 quando davanti alla platea e a milioni di telespettatori collegati da tutto il mondo, con uno smoking bianco troppo largo e la sua chitarra acustica, suona, timido e impacciato, uno dei più bei pezzi di cantautorato moderno; Miss Misery, pezzo per il quale Smith era stato candidato all'oscar, un pezzo troppo bello e troppo sbagliato per poter incidere su un'umanità così numerose e stolta. Ovviamente anche quella serata finirà con una sconfitta, Miss Misery verrà battuta dalla pomposa e petulante canzone di Celine Dion per il film “Titanic”.

La storia di Elliott Smith è raccontata dalle sue canzoni, dalle ballate terribilmente depresse degli esordi, fino alle perfette canzoni beatlesiane degli ultimi, sottovalutati, dischi. Un percorso artistico che ha trovato compimento nella fine del cantautore di Omaha, in quell'atto finale, brutale e disperato che rappresenta come null'altro il conflitto interiore di Smith. Un coltello che prima spacca lo sterno e poi trafigge il cuore che piano, piano smette di pulsare. Quanto dolore si deve provare per arrivare ad un tal gesto? Una morte autoindotta e dolorosa dolorosissima come la vita vissuta sino a quel punto, una vita troppo pesante, opprimente e devastante da non poter più essere sopportata.

Forse l'unicità di Elliott Smith sta proprio in quel mal di vivere che lo ha sempre tormentato, in tutti i suoi pezzi, anche quelli più pop e divertenti si percepisce un fondo di insoddisfazione, di sconfitta e rassegnazione. Non c'è nessuno né del presente, che nel passato che mi trasmetta un sentimento di malessere come Elliott, le sue canzoni sono un portale verso gli antri più reconditi della mente umana, strade che conducono ad abissi di disperazione che non vorresti mai percorrere, ma che tuo malgrado spesso e volentieri sei costretto a seguire. Le canzoni di Elliott Smith, che siano solo un dolente arpeggio di chitarra o un più raffinato arrangiamento orchestrale sono delle meravigliosi strapiombi sul dolore, penso che solo ascoltando Neil Young si possa percepire un tale sentimento di ineluttabilità, la sensazione di una tragedia imminente.

Dopo una prima parte di carriera prevalentemente acustica culminata nel più variegato either/or , capolavoro di Smith e uno dei dischi più belli non solo degli anni '90, ma del cantautorato americano tutto ( e se dico tutto dico pure Dylan e Cohen), l'ex cantante dei Heatmiser decide di dare più colore, vigore ed intensità alla propria musica e X/O è li a testimoniarlo, monumento alla melodia, un atto d'amore verso i Beatles e alla loro musica.

La crisalide che si trasforma in farfalla, bellissima, leggiadra e colorata. “Sweet Adeline” inizia con un arpeggio di chitarra sul quale Smith canta, poi, inizia un crescendo di strumentazioni, prima un synth e poi elettriche, pianoforte e batteria che arricchiscono il meraviglioso e ritmato ritornello, uno di quei ritornelli che ti si lega alle sinapsi per non lasciarle più.

Ancora chitarra e voce per la delicata “Tomorrow Tomorrow” un capolavoro vocale, dove i cori rendono il pezzo un delicato canto gregoriano pop.

Waltz#2 è uno degli apici dell'album, una triste ballata di pazzesca intensità, uno di quei pezzi di cui parlavamo prima, ineluttabilità, tragedia imminente. Uno squarcio di buio nella luce del giorno, un'eclissi di sole. Bellissima. L'atmosfera si fa meno atroce con “Baby Brittain” una divertente filastrocca, quasi una canzone per una bambina guidata da una chitarra beatlesiana e un piano honky tonk rallentato, questa volta la luce rimane accesa ed è intensissima.



Ancora un'acustica e poi un piano ad infuocare l'atmosfera in “Pitseleh”prima di una gemma da chitarra acustica, piano elettrico e percussioni come “Indipendence Day” , un attentato. La melodia raffinata di Smith si sposa con l'incredibile pasta e intensità della sua voce che nel crescendo finale mette letteralmente i brividi quanto è perfetta ed esiziale la sua idea di musica. Un pop depresso, ma anelante una felicità impossibile, come nella splendida “Bled White” dove il ritmo si alza e la batteria guida un moog stralunato, Elliott sembra quasi felice mentre canta, “perchè dovrò essere alta per trascinare verso il basso il tramonto e colorare questa città”.

Waltz#1 invece è una classica ballata Smithiana triste e dimessa lasciata al pianoforte e al suo falsetto. “Amity” è l'ennesimo capolavoro di pop elettrico, un primo esperimento verso l'elettricità del successivo “Figure 8”, memore dell'esperienza Heatmiser, ma maggiormente raffinato e dolente.

XO sembra un lento ottovolante, su e giù tra sentimenti altalenanti tristezza, ricerca di serenità, felicità. La perfezione estetica di Smith (di questo si tratta, di perfezione e rigore d'estetica pop) si manifesta ancora in magnifiche ballate per chitarra e orchestra come “Bottle up end Explode” e nell'elettrica “Question Mark” uno dei pezzi più “duri” di Smith, contrappuntato da un saxofono nella prima parte e una chitarra quasi funk si apre in un refrain killer, capolavoro.

Dopo una dolente “everibody cares, everibody understand” dal finale mozzafiato tra assoli di chitarra che sembrano flauti e un crescendo d'archi di cui George Martin sarebbe orgoglioso, il disco si chiude con un pezzo per solo voce e cori, dove Smith si trasforma in un mellotron umano. “I didn't understand” è un distillato di tristezza, come da abitudine Elliott Smith lascia l'ascoltatore con la canzone più triste dell'intero disco, come in precedenza ha fatto con “The biggest lie” (a conti fatti il capolavoro assoluto di Smith e l'apice del suo personale concetto di disperazione, io, per tanti motivi, non riesco più ad ascoltarla tanto è il dolore che emana e i ricordi che fa riaffiorare alla mente), “Say Yes” e in futuro farà con la gelida “Bye” e la postuma e chiarificatrice “...a distorted reality is now a necessity to be free”.

Il calvario interiore di Smith è il nostro calvario, un discesa ripida verso il fondo, molte volte noi riusciamo ad aggrapparci a qualcosa, io per esempio anche alle sue canzoni, lui invece non è riuscito, nonostante tutto l'amore che contenesse, a trovare nulla per cui valesse la pena continuare a soffrire. Nessuno prima, forse solo Drake, e nessuno dopo, o assieme (no, nemmeno Will Oldham, se ve lo state domandando) ha raccontato il dolore e la rassegnazione come l'ha raccontata Smith, senza dover per forza scrivere testi macchiati di sangue o devastazione interiore, lasciando che fosse la sua voce ad interpretare il suo animo.

Sono stato fortunato a viverlo in diretta a 18anni, Elliott Smith, lo so, una cura formidabile contro la durezza di un'età infame.

Gli devo un grazie, ma non i soliti grazie che si leggono sulle bacheche di facebook, un grazie vero.



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