mercoledì 19 ottobre 2011

Un "Monumento" ai Vito (Retrospettiva)


Se c'è una realtà consumata in modo discreto, modesto e quanto mai nell'ombra del sottosuolo indipendente attuale, è quella dei Vito.

I gallesi Vito si formano nel 2003, a Cardiff nella stessa scena musicale che ha prodotto band come Super Furry Animals. La prima line-up era composta da Mark Foley (basso e voce), Ashley McAvoy (chitarra e voce), Andrew Piana (batteria e percussioni), Ed Truckell (tastiere e chitarra) e Rhodri Viney (chitarra, percussioni e voce).
Dopo lo show d'esordio al Barfly di Cardiff nel dicembre 2003, la band si accinge a comporre del materiale per un album da gestire in modo del tutto indipendente, arruolando come produttore Charlie Francis (REM, High Llamas, Robyn Hitchcock, Manic Street Preachers e molti altri) da poco trasferitosi a Cardiff. Il lavoro di Charlie come sesto membro dei Vito è stato fondamentale per la direzione che la band avrebbe preso. Infatti fu Francis che mise in contatto il gruppo con la Flowershop Recordings di Robin Proper-Sheppard (Sophia / God Machine) nella primavera del 2005. Così Robin, recatosi a Cardiff, registra due tracce con la band "Never Been Careful" e "My Tornado Is Resting" in un' edizione limitata in vinile da 7 pollici. Nella primavera del 2006 esce l'album di debutto dei Vito "Make Good Areas Disturbed" per Flowershop Recordings. Make Good Areas Disturbed metteva già il punto sulle caratteristiche stilistiche dei Vito che affrontavano tematiche musicali struggenti in un contesto che spaziava dal post rock allo shoegaze tenendosi sempre ancorato a particolari tentazioni di sperimentazione elettronica. Un rock sonico, intriso di un'indolenza melanconica e decadente, accentuata dalle splendide voci dei tre vocalist che, nel sovrapporsi andavano a delineare atmosfere ed umori del tutto unici. Elementi come tastiere, xilofono e giochi di feedback, saturavano una scena adorna di chitarre arpeggiate e dilatate in puro stile post rock portando al pensiero che i Vito nulla avessero da invidiare a band come Mogwai. La traccia d'apertura "Ultimate Shame" rende già bene l'idea del mood generale della band in un testo che si pone quasi a manifesto del progetto:

"Shouldn’t have bothered/The ultimate shame/Shouldn’t have cared/To hear you call my name I didn’t You shouldn’t have/Shouldn’t have mattered/Words both well meant and profane/My intentions/Were causing too much pain/Were questionable/Fell from the ladder/All the trouble and lies/Tumbling down/Are sapping the will to survive/Watch the angles receding/Took my confession/Come on let the fucking thing die/All in your stride"


Episodi di rara bellezza, intimisti e allo stesso tempo così empatici come la memorabile "Falling Out" o la dolorosa e atmosferica "Arrested By These Phenomena", rendono grazia ad un lavoro al quale si sarebbe dovuto prestare molta più attenzione.


A prova di ciò giungono anche ballate morfinose e intrise d'inerzia slow core come "Rejoice" o momenti di immaginifico candore ("A Reckoning of Sorts"), vicine alla ricercatezza di toni di Radioheadiana memoria , fino all'omaggio alle bellezze italiche di "Across The Rubicon".

All'uscita dell'album d'esordio segue un tour in Europa con i Sophia. Queste date vedranno Robin esibirsi solista in acustico al quale i Vito daranno man forte nei live nel riprodurre versioni particolareggiate del campionario dell'ex God Machine eseguendo anche brani dell'altro progetto parallelo di Sheppard, The May Queens.
A prova di quanto le tracce di Make Good Area Disturbed si prestassero all'elettronica, sulla pagina dedicata del sito ufficiale della Flowershop Recordings viene rilasciato in download gratuito "Other Disturbed Areas" con i remix dei brani "Arrested By These Phenomena" e live radio session di "My Tornado is Resting" e "Rejoice", nel quale la sperimentazione elettronica prendeva il sopravvento dando ottima prova di quanto la band fosse in grado di spaziare tra i generi ostentando sempre un'estetica post del tutto personale.

Dopo il rientro a casa dal loro tour d'esordio, il tastierista e chitarrista Ed Truckell lascia il gruppo e viene sostituito da Stu Michel, un amico che aveva già condiviso gli strumenti in precedenti incarnazioni dei Vito.
La band prevede di rilasciare un secondo disco in fretta venendo ritardata solo da alcuni side project che comprendono l'album e il tour con The Secret Show (il progetto solista del front man dei Funeral For A Friend,  Matthew Davies) e collaborazioni con Eugene Francis & The Juniors e The Brave Captain (Martin Carr, ex-Boo Radleys).
Mark e Andrew mettono a punto un complesso studio di registrazione e sala prove a Cardiff denominato Musicbox Studios che ad oggi è un importante punto di riferimento per fare musica nella zona.


Così, dopo quattro anni, viene rilasciato nel febbraio 2010, "Monument" secondo album in studio dei Vito uscito anch'esso per Flowershop e seguito da un breve tour in Belgio e Germania.

In "Monument" i Vito si spingono verso un art rock condito da psichedelia e saturazioni chitarristiche alla My Bloody Valentine, ponendo maggiormente l'accento su una visceralità shoegaze seppur ancora oscurata dalla catarsi pessimista della band.
Ancora una volta gli xilofoni a dare un tono esotico e particolareggiato alle tracce affogate sempre più in dilatazioni ed echi impenetrabili. Brani tenui ed evanescenti come "You Will Have Your Time" rimandano l'attenzione all'Islanda dei Sigur Ros in un crescendo atmosferico di cui avevano già dato prova i Sophia di Robin nelle parentesi che volgevano ad abbandonare quella costanza acustica in virtù di esplosioni elettriche.


Melodie ricercate, sempre legate da una visione d'insieme delicata ad alto impatto emozionale vengono sommerse da spirali chitarristiche irruente in tracce strumentali come "Reclaimed!" o "Give Me Eighteen Inches Of Daylight" apertamente referenziale al post rock.


Dal sapore classicista, percorso da sensazioni sospese tra pensiero cosciente e onirica ascensione, "Monument" apparirà più come epitaffio che monumento per i Vito che, dal loro rientro a casa, rimangono ad oggi in una sorta di stand by, nella ricerca personale di qualcosa, a detta della stessa band, che "sia semplicemente più speciale ed importante che registrare un nuovo album".

Per il momento "allietiamoci" con ciò che ci è stato dato cercando di rendere il giusto e meritevole onore ad una band che, sopratutto in sede live, sapeva bene come suggestionare il proprio pubblico.







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